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Di versi

Benvenuti

Se siete qui, immagino che sappiate quanto scrivere e interessarsi di quel che è scritto sia segno di una certa differenza di visione del mondo.

​

Proprio per questo motivo, si può dire che chiunque riconosca nel mondo un qualche tipo di natura poetica è meritevole di essere chiamato, con valenza positiva,

di-verso.

Ti trovi in questo momento su Di-versi, un blog dedicato al mio amore per la poesia, come alle mie riflessioni sul mondo e su quel che mi e ci circonda.

Sono Federico Savelli, e in un improvviso momento di cecità, ho trovato uno dei pochi passaggi segreti che mi permettevano di fuggire: la poesia.

​

Quindi, proprio marchiato da questo buio che in passato mi ha intrappolato, mi rendo adesso conto di quanto quel che vediamo, e soprattutto che non vediamo, ci attorni quasi illimitatamente. 

Mi appello, detto questo, all'infinita quantità di elementi che si trovano fuori da questi schermi, che dunque affamano i miei pensieri e sentimenti di nuove esperienze. 

Se esiste qualcosa di certo, ebbene, è che la poesia è inesauribile.

Serve acutezza per scriverne e raccoglierne in grande quantità, serve la tenacia di chi la vita non la subisce e basta, ma di chi la osserva e ci parla.

Questo non significa che io sia quel qualcuno, quanto il fatto che siamo ancora troppi pochi individui a tentare di cogliere i particolari di quel che ci accerchia, che invece compone il nostro mondo. Così i dettagli che ci sfuggono sono abbastanza da costituire un muro ad un palmo dal naso di tutti; passano scontatamente davanti ai nostri volti.  

Eppure io sono qui, e per questo motivo voglio mostrarvi cosa sono riuscito a notare, tra tutti quei mattoni.

Buona lettura.

Caos

Quindi canta intanto;

dillo a tutti

che tocca a tutti prima o poi.

​

Che del caos si fa misura e tatto

e ognuno rischia rovistandoci dentro.

​

Si intacca a passo ostile e infrenato

il sottile rapporto.

​

Nemici assalitori l'uno dell'altro

con spedito andando si regolano

e analizzano.

​

Velocità

come infrenata è

quella del suo fascino.

​

E quell'intorpidito insinuarsi

è maestro nella sua bravura.

Ho conseguito pena d'amore

ed ora me ne taccio;

​

E drammaturgo obsoleto

tentenno in posa cercando

un'altra come questa tale

​

come in incastro

nemmeno in avvito

può arrivare,

quindi è abbietta

la chiarezza dei sentimenti

​

che dico di cercare

ma nulla me lo impedisce

ma tutto me lo impedisce

poiché me.

​

Infanzia

d'eccedente maniera

di troppo invade

​

allora stingo le parole dolci

dettemi in culto

al me più vecchio

che più antico è.

​

A sentore di pioggia

vado andando

nell'irrequietezza

dell'io che trova

il profondo nel dolore.

Fattezze

Ora quindi annota

le molteplici fattezze che ho preso

perché non le avevi viste;

perché non le avevi viste?

​

Che in qualche forma

io sia presente

non è novità, non è da poco.

​

Io felice senza autore

ed unico riconoscimento.

​

E l'attual ricorda

​

che aspiro alla stele senza nome:

posso pur non intatto tacere,

e senza identità stagliare.

Parole visibili il giusto

 

Ma io che me ne faccio

di pensieri taciuti all'inchiostro

di inutili frecce di spirito

tirate al cielo al vento fresco

​

Se potessi scriverei

con piume di seppia

in cima alle colline

​

marciando parole

visibili il giusto:

abbastanza da essere viste

ma non da annerire i colli,

appassirli di marcio.

​

Imprimerei

non per lasciare una mia traccia

ma perché loro ne lascino una a me

dove io per un solo momento

abbandono me stesso

per badare al tramonto.

Introspettivo

Introspettivo,

e tutto si inclina.

​

Care vecchie correzioni,

assaggiate il tono

del pensiero che smonta

la superficie.

​

Non mi vedo più;

la pala s'è spezzata

contro roccia fredda.

​

È solo passato del tempo.

​

Chi scava troppo

è inizialmente

dolce di scoperta.

​

Chi scava troppo

arriva affiatato di fatica,

spera il duro si spacchi da solo.

​

Introspettivo,

e tutto si inclina.

​

E così le cose

davvero reali non sono.

​

Riflettono solo

pezzi rotti di vetro:

eccomi dentro la percezione,

vivo,

vegeto così credo.

​

Ne accarezzo i muri bianchi,

tal mi pare.

​

E guardo a terra

le schegge dello specchio,

e così mi sembra,

credo io.

​

Proprio mi paralizzano

nel mio supporre d'essere.

​

Guardare i muri

non permette nulla.

​

Eccomi all'epilogo,

che sono cavatore sfinito.

​

Eccomi dentro

l'occluso stupore

di vedermi nuovo.

A voi con le pupille dilatate canzone in versi sciolti

A voi con le pupille dilatate

che nulla avete a fronte,

parlate allora per il mio piacere,

che cos'è che guardate?

Che non sia chiaro che abbiate torto?

Come voi già sapete,

ma voi fate finta di non sapere,

il mondo è nato storto

perché tutto vive al posto sbagliato

o magari è già morto.

O magari voi avete scoperto,

siete un passo avanti a me,

il segreto di questo ambiente immenso,

quando invece io sono

 vernice fresca nel cielo colore

del mondo della mente

di cui io stesso sono scultore.

Ma palmi rilassati

mi spiegano che voi non mi capite,

ché avete i piedi a terra.

Forse voi troppo, ed io troppo poco.

Due amanti come noi

Se ti parlo di morire mi affini senza guardarmi

e se voglio un po' di vita tra noi mi eludi.

​

E allora cos'è

un miscuglio di sghangherate passioni

se non io e te?

​

Due poeti dannati

che si guardano e riguardano

che odiano e si fanno attrarre

il cui cortese non è tra le possibilità.

​

Hanno in comune una cosa

e con quella ci fanno tutto

​

e non temono di vedersi piangere

leggendo due macchie di mente scritta

ascoltando una canzone requiem di tetti di Parigi

 

E allora cosa ne facciamo di noi?

​

Viviamo di condizioni alle scelte

ci portano al parallelo, allo spettrale

del non incontro.

​

Non richiamerò la coerenza,

non ci porta in nessun passaggio segreto

​

perché l'idea di noi

è un Baudelaire ottuso,

un Rimbaud senza simboli,

un Blake che scrive

"gli angeli non esistono"

e di rose che non sfioriscono.

​

Basterebbe

comporre il nostro Spoon River

e unirsi a lui per sempre.

​

De-vita

Quel vuoto

si chiama

de-vita.

​

Io,

nato tra gli equilibri

ho bisogno che i difetti

mi amino.

​

Io,

che di squilibrato

ho poco e nulla,

cerco l'interesse

di chi sgretola

la mia sottile armonia.

​

E loro,

che più di me

soffrono

non sanno che io

rimpiango

il dolore,

divorato dall'egoismo,

annegando nella profondità,

finta virtù,

aspettativa di meraviglia

e realtà di mancanza.

Perso il perdono - sonetto

Mi trovo senza pietà di me stesso,

sgocciola quel che il pensiero mi offriva

e con la mente ancora alla deriva

cerco perdono a cui non ho più accesso.

​

Solo dolore che trova progresso

raggiunge l'immensurabile riva,

che nessun sangue sfociato leniva,

che solo al male faceva da ingresso,

​

che adesso crea la breve stesura:

decomposti e non agili sonetti

cercan di fare una bella figura.

​

E raccontando una falsa avventura

motivo strani e assurdi concetti

condizioni della mia paura.

Senza tempo, scrivere eterno.

Poesie senza tempo,

le cui date vagano distratte

nel ricordo del cosciente.

​

Scrivi

Mi dicono

Scrivi

Ma io non sono io,

spiega, cosa sono io?

Un flusso senza trama,

un dolore senza tempo,

un ritratto del mio vivere,

che sbiadisce,

nella morte dell'attuale.

​

Mai potrò davvero scrivere eterno,

quello che voglio,

e la rivelazione si fa presente.

​

Questa meta sta ad

illusione.

Ho dei libri che mi sorvegliano

che di tanto intelletto io non son sommerso;

e chi si prende lo sporco lavoro?

​

Quattro guardie di natura umana

colme

non di me ed io

colmo non di loro,

quanto saturo di

pensierose sintesi

ch'in testa mi si spargono.

​

Quattro penne:

delle loro

nessun me è proprietario.

​

E per quanto

io vorrei almeno

io appartener loro,

me ne giaccio qui

che dentro son poco esistente.

Mitomania

Il ponte sullo stretto a destra,

quello che debole se ne andava

e forte rimaneva retto in testa

mi ha detto

"le fantasie

sono ferme in movimento,

volano in testa alle nuvole

che però son sempre le stesse."

​

Che devo fare

se quel che taglia

è esser me stesso?

​

Ritrarmi dall'interno dolore

e scappare verso il maggior profondo?

​

Ma se non mi ho accesso

e le fantasie vogliono restare

non resta che viaggiare

sul riccio dell'inventato.

Un ponte

Un ponte va diretto,

non lo so dove.

​

Ma sono certo

di cosa lo regga:

sono colonne, punti importanti.

​

Io non so quanti sono,

ma li cerco,

tra l'arreso e il deciso,

nella speranza

anche solo di riuscire

a tastare

quelli che persistono

nella mia mente.

​

Io non so di che son fatto,

ma guardo un castello e stono

perché non rispondo a suo nome

né vivo di sua struttura.

​

Nasco a pezzi.

​

Pezzi

costruiti a suon di pensieri

sorretti solo

da fragili

scure

colonne portanti.

​

Frammentato,

vado in cerca di sostegni:

quali se non

inchiostro, fogli, parole.

Mondi da capo - sonetto

Se mai scoprissimo un nascosto mondo

misureremmo con metro diverso

qui una mente con ordinario sfondo

sfigurerebbe quel sogno in un verso.

​

Nessun poeta è mai così profondo

da rimanerci totalmente immerso:

cerca la meraviglia fino in fondo

per poi finire con tutto l'inverso.

 

Speriamo solo in un luogo migliore

che nemmeno è alla nostra portata

chiedendo rassicurante calore.

​

All'idea di una vita vegliata

dalle pretese senza alcun bagliore

ci si concede alla scelta sbagliata.

L'egoista

Quasi capisco l'egoista:

io penso a me,

voi pensate a voi.

​

E di quale triste destino

questo pensiero è ricolmo?

​

Lo stesso del poeta:

pensare a sé non mai troppo.

​

Magari strascichi nella vita,

magari piangi,

ti disperi, nutri cuore, cervello,

non c'è via d'uscita

​

Tranne la scrittura,

perché "spero che lo legga"

è sia l'ossessione che il motto:

parole incise da me:

"pensare a sé non è mai troppo".

Come vieni ricordato,

come vieni ricordato

è una pazzia

in cui prevalgono i sentieri

in cui annegare.

​

Tu lo percorri perché è tuo

che chissà perché è tuo,

e ci rimani,

quindi.

​

La casa del p(r)o(f)eta

è vaga nella sua assurdità

e ti domanda lettore troppe cose

​

e non sai come risponderle,

e nel suo angolo vorresti eclissarti

​

e nel suo angolo

vorresti scoprire troppe cose:

​

"Che poesia è questa?

Torto,

nel torto io nasco,

o non m'appartiene affatto?

E a pezzi,

a pezzi,

quando ci sono finito?"

​

Sono domande quelle

delle cento ombre nell'angolo,

sono domande quelle dell'ombra nell'angolo.

Sonno

Questa notte

nemmeno una delle mie palpebre s'è chiusa.

Mi si serravano invecele pupille socchiuse

sempre più

sempre più.

​

Il sonno di questo tempo non è docile

e l'orizzonte dorme per me.

Dorme per me e non c'é.

 

Gli xilofoni suonano

e la sorte dei pensieri

manca ancora di rintocco.

 

Nel circo d'una

soffitta,

le finestre lasciano affacciare

musiche già addentrate;

sono gitane.

Son gitane e mi cercano.

 

Tranquillizzano,

eppure

il sopore non suona

e mi costringe all'indecenza

del continuar diverso.

 

Mi tornano in mente

gli intelletti assopiti

di senni passati.

 

Come avrebbero fatto loro?

 

La notte è feconda, la penna mi sporca

ed io che penso ai tempi andati

non mi accorgo che l'alba è sorta.

Nessuno in natura
Suonava la campana della chiesa Parmense.
Era sul letto che stavo stinto
a quell'imbrunire d'ora.
Mi scostavo d'ogni assortir esterno e straniero.
Andai alla finestra di mezzo cerchio,
richiamato dal limpido suono degli affreschi
di celeste tenuta.
Non è, eppure, lì che andai.
Fu nelle solide balle ch'il grano si permetteva
d'affondare
e nelle ombre antiche distese.
Ed io che ormai ne ero preso
mi gettavo d'altro canto
in quel morbido parlare
del passero, non solitario

-altro canto-.
Dove non ero,
lui si lanciava nel crinale,
il passero,
arancione,
nel vivo di un azzurro quasi blu
e guardarlo era
quasi un abbandono.
Tornai a me indifeso
e con tempo d'attimo
m'arrivò il contrasto.

Chi può essere che fossi?

È una questione definita?
È una questione finita?
Uno che fa le veci d'io
pur essendo alcuno e nessuno.
Oggi pensavo.
Camminavo per le strade
- nel buio già sceso -
al lume decadente della solitudine;
ormai è la prassi,
se sei nottambulo te la farai
bastare.
​
Manderò
gli abissi a conoscere
                le vite degli altri,
e non vedrò più nessuno.
​
Mercanti in attesa, questori,
correnti torbide,
follie d'altro mondo,
viali innevati,
amori a Pietroburgo.
Aspetteranno, ed io,
nella foresta di
simboli,
intonerò passi di leggende.
puro solo come
chi è solo può essere.

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