L'auto-ritrattista
- Federico Savelli
- 22 set 2023
- Tempo di lettura: 2 min
Non mi piace questo tempo. E mi dà fastidio che le goccie d'acqua si assomiglino tutte. La pioggia ha dunque solo una facciata? La scuola è vicina e gli Smiths non rilassano. Allora, davnenti ad un quaderno gioco a fare Proust. Ultimamente poche sono state le angoscie ad infestare i miei pensieri, e poche le feste ad angosciare i miei sbagli. Può darsi che questa sia prosa giovanile, eppure potrebbe essere molto peggio: inizio a liberarmi del passato grazie a Baudelaire e qualche amore stravagante.
Io posso parlare di ben poco, ed anche di ben poco di me. Non so affrontare ciò che c'è di più grande, né tantomeno ciò che di me è quasi sparito, e che quindi è tanto piccolo. Eppure chiunque chiederebbe: "dunque sai padroneggiare quello che c'è di mezzo?".
No, nemmeno quello. Il piccolo passato mi è ignoto e lo smisurato esterno mi è noto allo stesso modo. Tra le mie amicizie più vive è spuntato un concetto che può essere amaro non poco: il ritrattista.
Che colpe ha il ritrattista se esserlo è il suo unico modo di rimanere vivo?
Il 17 febbraio 1903 Rilke scriveva ad un giovane poeta;
e mentre lui chiedeva pareri sui propri versi, il poeta più adulto rispondeva: "domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere?".
Eccoci, siamo qui, siamo al punto.
Scrivere è l'unica necessità che spinge un ritrattista ad essere tale, ed è al contempo l'esserlo che lo spinge verso la propria necessità. Eppure, nutro un altro profondo bisogno, e sospinge le due correnti per buona parte: il desiderio di capire le ragioni di una frammentazione che, incomprensibile, rischia di divenire perdita.
Il compito che mi terrò stretto;
Il compito che terrò stretto come il lavoro di una vita, quale è, sarà ritrarre ogni pezzo, scoprendo i motivi di ognuno. Questo e nient'altro so. Questo e nient'altro so fare, e vi presento il mio ritratto.
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