Ieri sono andato al circo, o come si chiamano loro, al "Cirque du Bidon". Non credevo potesse esistere qualcosa di tanto fine, goliardico ed affascinante. Non era uno dei soliti circhi inutili, in grande, troppo grande stile.
Era, anzi, il teatro della meraviglia, della bellezza, del sogno.
E chi si immaginava fosse di giochi sinuosi, musica gitana, anime di bohème francese all'avventura. Come detto dalle loro parole finali, "noi siamo qui, il sogno è vero".
E che visione onirica: ad averne una così mi ci rintanerei dentro, al costo di vivere in un perpetuo sonno.
Mio padre dice che è una vita di fatica e costante esercizio, oltre che di povertà.
Ma vorrei dire: "Al diavolo! Cos'è che me ne frega dei soldi, della mercanzia, di quattro gioielli comprati con il lavoro di tre anni?"
Vorrei dire: "Non ne posso più dei poeti preconfezionati! Cosa me ne faccio di una laurea impacchettata nel cervello di un mancato bohemièn come me?"
Ebbene, eppure.
La catena non si spezza, e se non riesce ad essere forzata ora figuriamoci tra due, tre, cinque, dieci anni!
Diventerò forse artista inaperto, essere chiuso, uomo in ufficio.
Al piede un pezzo di catena dura quanto la società; la vorrei spezzata.
Sarebbe un inno alla vita danzare con un simbolo aspro e dolce alla caviglia, agile come il Dio della libertà e dell'inchiostro!
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